Per molti questo cambiamento, forse per la forzata immobilità, si traduce nel solo desiderio di tornare prima possibile alla vecchia, sicura “normalità”, senza riflettere sul fatto che, non un virus, ma proprio quella normalità ci ha condotto in questa grave situazione, più che sanitaria, potremmo definire sociale, nonché democratica, andando a toccare le nostre libertà individuali.
Quella cara normalità che, apparentemente, ci ha elargito tante cose anche belle (ma non per tutti): la possibilità di muoverci più facilmente, di connetterci con tutto il mondo, di avere accesso a tantissime informazioni, ad una vita più agiata e piena di comodità, ad una maggiore consapevolezza su temi come la salute, l’alimentazione, tanto per citarne alcune; ma a che prezzo?
Il biglietto da pagare è stato quello di dimenticarci come abbiamo potuto ottenere tutte queste cose: le guerre che, silenziosamente ma inesorabilmente, si combattono in tante parti del mondo, e conseguentemente le sofferenze, le ingiustizie e le privazioni a cui sono sottoposte intere popolazioni, l’inquinamento e la distruzione dell’ambiente, l’aumento delle disuguaglianze sociali, l’essere sempre più prigionieri di un modello consumistico fine a se stesso, il disinteresse per tutto ciò che non è materiale che, a sua volta, ci ha condotto ad un impoverimento di quella ricchezza interiore che rappresenta l’essenza dell’essere umano.
Poi, mentre ci aspettavamo scioglimenti di ghiacciai, meteoriti in rotta di collisione con la Terra, tempeste magnetiche, eruzioni di vulcani e chi più ha più ne metta, fa capolino un piccolissimo organismo, che qualcuno definisce addirittura “non vivente”, e cambia tutto.
Anzi, a dire il vero non cambia nulla, semmai questo virus ha messo in luce tutte quelle criticità e carenze che prima non vedevamo ma con le quali, più o meno consapevolmente, da tempo convivevamo.
Con il pretesto di salvaguardare la salute di tutti, si è assegnato un potere quasi assoluto al denaro, che manovrato da scopi finanziari non esenti da interessi di parte, getta un’ombra oscura sull’uscita dalla crisi.
Forti sono le perplessità e i dubbi su questa “emergenza”, sulla chiave di lettura che per adesso ne è stata data, ma soprattutto sulle modalità che si intendono adottare per incamminarci verso una “normalità” che, necessariamente, dovrà essere nuova e pertanto diversa.
Evidente, in questa chiave di lettura, è stato l’appiattimento totale, fino a sconfinare in servilismo, dei mezzi d’informazione dominanti su quello che, con sconcertante disinvoltura, viene definito “pensiero unico”.
Non una dichiarazione è andata a scalfire, minimamente criticare o mettere in discussione ciò che viene detto dalla ristretta cerchia dei “saggi”, dimenticando che è proprio nel confronto, nella dialettica, ma soprattutto nel dubbio che l’umanità ha progredito.
Ma proprio in questi momenti pur faticosi, oltre il religioso e ossessivo mantra “state a casa”, dell’obbligatorio distanziamento, e anche al di là della spinta alla solidarietà e all’aiuto reciproco, dovrebbe prevalere un forte desiderio interiore di giustizia, che può trovare un suo naturale sbocco in nuovi comportamenti che entrino veramente nelle nostre abitudini e nei nostri cuori.
Un’abitudine che ci siamo dimenticati, è quella che siamo tutti figli della Natura. L’allontanamento da questa “madre” benigna e dalle sue leggi, che proprio in virtù di questo attributo non sono né buone né cattive, ha portato ad una disarmonia verso il nostro pianeta e verso le altre forme viventi che lo abitano, compreso l’essere umano.
Un ritorno ad un giusto rapporto verso il mondo naturale, dal quale troppo ci siamo distaccati, credendo quasi di poterne fare a meno, può rappresentare un sicuro centro di aggregazione su quale poter far convergere tutta la nostra voglia di cambiamento, per suscitare in noi qualità come serenità, bontà, gentilezza, rispetto e saggezza che possono guidarci in questo viaggio verso il cambiamento.